La storia della bonifica della palude pontina è nota a tutti. Con il nostro monologo abbiamo voluto spostare l’attenzione sulla bonifica dell’Agro romano, che avvenne qualche decennio prima, ad opera di una cooperativa di braccianti agricoli di Ravenna. Il loro insediamento fu accompagnato da una forte preoccupazione da parte delle autorità locali, in quanto i braccianti ravennati erano considerati pericolosi sovversivi, tanto da essere dirottati subito verso Fiumicino e Ostia, senza farli sostare a Roma. Essi si rivelarono dotati di grandi capacità organizzative, creando un servizio di pronto soccorso, introducendo la proprietà collettiva degli strumenti di lavoro nonché la distribuzione paritaria dei beni. Ma, naturalmente, la malaria continuava a mietere vittime, nonostante l’uso del chinino, in questa come in altre regioni d’Italia, dal Piemonte alla Sicilia, con la stessa indifferente virulenza.
*Chi volesse approfondire l’argomento può consultare il testo di Giuseppe Lattanzi, Vito Lattanzi e Paolo Isaja, pubblicato dall’editore Longo nella prestigiosa collana “Contemporanea”.
Pala e carriola. Pala, carriola e sudore. E fatica.
Sembra un destino crudele e beffardo quello della gente di Romagna: oggi a liberare dal fango le loro case e le strade, in passato a colmare i terreni invasi dall’acqua e infestati dalla malaria.
Sudore, fatica, lutti. E sofferenza, vissuta con dignità, senza abbattimento. Scariolanti oggi come ieri, come quando con determinazione e operosità costruivano argini, ponti, canali; mentre nelle terre rimaste allagate le donne coltivavano il riso.
Ma sotto il sole cocente lei e le sue compagne cantavano, per alleviare la fatica:
“Senti le rane che cantano ... | |