Giorgio Gaber ed il teatro-canzone
L'inizio è al Piccolo Teatro di Milano. E' il 13 gennaio del 1971, tredici giorni di seguito: la locandina recita solo
"Il Piccolo Teatro di Milano presenta Giorgio Gaber
Il signor G"
e il programma di sala parla della “…classica storia dell’uomo inserito…la storia di tutti noi, dell’autore stesso… Il signor G è l’uomo che fa fatica a vivere e a cui crollano uno dopo l’altro i miti della giovinezza”. Lungo l’esile trama di un signor qualunque fotografato dalla nascita alla morte, Gaber viviseziona l’orizzonte piccolo borghese con spietatezza e complicità, puntando il dito innanzitutto verso se stessi.
Dopo due stagioni di teatri semivuoti (1970/1971 con "Il signor G" e 1971/1972 con "Storie vecchie e nuove del signor G") prende il volo quello che sarà chiamato il
TEATRO-CANZONE
All'inizio, nella scrittura lo aiutano Umberto Simonetta e Giuseppe Tarozzi, Herbert Pagani e, nell’ombra, un pittore viareggino incontrato a Milano, Sandro Luporini.
La parola chiave del teatro-canzone è impegno, tanto che il nuovo spettacolo della stagione 1972/1973 si chiama Dialogo fra un impegnato e un non so. Nei dialoghi Gaber fa la parte del "non so", sottoponendo le certezze del militante, l’impegnato, a una severissima disanima. E’ qui che nasce quella che diverrà quasi la "sigla" di Gaber nel decennio: "La libertà".
L'inizio è al Piccolo Teatro di Milano. E' il 13 gennaio del 1971, tredici giorni di seguito: la locandina recita solo
"Il Piccolo Teatro di Milano presenta Giorgio Gaber
Il signor G"
e il programma di sala parla della “…classica storia dell’uomo inserito…la storia di tutti noi, dell’autore stesso… Il signor G è l’uomo che fa fatica a vivere e a cui crollano uno dopo l’altro i miti della giovinezza”. Lungo l’esile trama di un signor qualunque fotografato dalla nascita alla morte, Gaber viviseziona l’orizzonte piccolo borghese con spietatezza e complicità, puntando il dito innanzitutto verso se stessi.
Dopo due stagioni di teatri semivuoti (1970/1971 con "Il signor G" e 1971/1972 con "Storie vecchie e nuove del signor G") prende il volo quello che sarà chiamato il
TEATRO-CANZONE
All'inizio, nella scrittura lo aiutano Umberto Simonetta e Giuseppe Tarozzi, Herbert Pagani e, nell’ombra, un pittore viareggino incontrato a Milano, Sandro Luporini.
La parola chiave del teatro-canzone è impegno, tanto che il nuovo spettacolo della stagione 1972/1973 si chiama Dialogo fra un impegnato e un non so. Nei dialoghi Gaber fa la parte del "non so", sottoponendo le certezze del militante, l’impegnato, a una severissima disanima. E’ qui che nasce quella che diverrà quasi la "sigla" di Gaber nel decennio: "La libertà".
In tutta Italia, a ritmo crescente, i teatri vanno al tutto esaurito. In tanti corrono almeno una volta all’anno da Gaber per sentire “cosa ha di nuovo da dirci”.
Ed ecco nella stagione ‘73/’74 Far finta di essere sani, dove nemmeno l’orchestra serve più. Gaber è tutto solo di fronte alla “sua” gente, i dischi fanno ormai solo da base per il suo canto o da promemoria a fine spettacolo. E sarà così per sei esplosive stagioni fino al ‘78/’79, in un autentico crescendo. "Far finta di essere sani" è una sorta di viaggio profondo nell’io diviso, contraddittorio, insincero. Le nuove scoperte, la politica, l’amore “liberato", la cultura “alternativa”, non risolvono. Il bilancio è già tragicomico ma la speranza del cambiamento è una strada ancora aperta.
In Anche per oggi non si vola, stagione ‘74/’75, i temi affrontati crescono per complessità e ambizione. Anche per oggi non si vola, ma non si può che andare avanti, restare in movimento: il vecchio mondo resta comunque improponibile. C’è solo la strada.
Strada che sarà percorsa con lo stesso spettacolo per due stagioni finché nel ‘76/’77 Gaber e Luporini si ributteranno nella mischia con materiale nuovo. E' Libertà obbligatoria. Dopo il balzo elettorale in avanti della sinistra nella primavera del ’76, mentre la “razza” cui appartengono crede di aver raggiunto i primi risultati politici, in Gaber e Luporini sembrano crescere la distanza e l’amarezza. Cantano questa sensazione nella canzone "I reduci"
La svolta successiva, Polli d’allevamento, farà molto discutere e lascerà un segno definitivo sull’avventura del teatro-canzone. La stagione ‘78/’79 ha alle spalle l’Italia del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, un’intera fetta della “razza” persa dietro al mito del terrorismo, le divisioni che crescono nel Paese. Gaber e Luporini tornano in teatro con coraggio e disposti al confronto duro, provocatorio, doloroso.
E' il commiato definitivo, il divorzio da una generazione, da una “razza” che ha sperperato e reso consumo ogni sogno di diversità. I toni sono senza precedenti, con una chiusura a muso duro che anticipa la reazione del
pubblico: “Di quelli che mi diranno che sono un qualunquista non me ne frega niente, non sono più compagno, né femministaiolo militante…sono diverso perché quando è merda è merda, non ha importanza la specificazione”.
In teatro è il finimondo, arrivano fischi e “booh” di dissenso, l’impatto è durissimo. Su Gaber e Lporini fioccano le accuse di pessimismo, disfattismo, qualunquismo: qualcuno si sente apertamente tradito. La stagione è un vero calvario di scontri e discussioni ogni sera. E nel furore delle discussioni pochi si accorgono delle profonde innovazioni musicali dell’ultimo Gaber, che ha scelto per le sue basi musicali un nuovo talento della scena musicale
italiana: Franco Battiato.
La stagione successiva, ‘79/’80, si limita a un riassunto delle puntate precedenti. Con Anni affollati Gaber e Luporini riprendono a frequentare i teatri per una stagione, quella dell’‘81/’82, di immutato successo. E’ il “redde rationem” contro tutto e tutti, il potere e l’antipotere, la sinistra e la destra, gli amici e i nemici. Serve una pausa, un intervallo: “No, non muovetevi, c’è un’aria stranamente tesa, un gran bisogno di silenzio, siamo come in attesa” (L’attesa).
E' il commiato definitivo, il divorzio da una generazione, da una “razza” che ha sperperato e reso consumo ogni sogno di diversità. I toni sono senza precedenti, con una chiusura a muso duro che anticipa la reazione del
pubblico: “Di quelli che mi diranno che sono un qualunquista non me ne frega niente, non sono più compagno, né femministaiolo militante…sono diverso perché quando è merda è merda, non ha importanza la specificazione”.
In teatro è il finimondo, arrivano fischi e “booh” di dissenso, l’impatto è durissimo. Su Gaber e Lporini fioccano le accuse di pessimismo, disfattismo, qualunquismo: qualcuno si sente apertamente tradito. La stagione è un vero calvario di scontri e discussioni ogni sera. E nel furore delle discussioni pochi si accorgono delle profonde innovazioni musicali dell’ultimo Gaber, che ha scelto per le sue basi musicali un nuovo talento della scena musicale
italiana: Franco Battiato.
La stagione successiva, ‘79/’80, si limita a un riassunto delle puntate precedenti. Con Anni affollati Gaber e Luporini riprendono a frequentare i teatri per una stagione, quella dell’‘81/’82, di immutato successo. E’ il “redde rationem” contro tutto e tutti, il potere e l’antipotere, la sinistra e la destra, gli amici e i nemici. Serve una pausa, un intervallo: “No, non muovetevi, c’è un’aria stranamente tesa, un gran bisogno di silenzio, siamo come in attesa” (L’attesa).
Per la breve stagione ‘82/’83 Gaber si esibisce a teatro con Mariangela Melato in Il caso di Alessandro e di Maria.
Dopo una stagione di pausa, è di nuovo "teatro canzone”, con l’orchestra che dopo un decennio ritorna in palcoscenico. Le due stagioni ‘84/’85 e ‘85/86 di Io se fossi Gaber aggiornano il sound dell’artista, anche in teatro. Fanno parte di questo spettacolo le canzoni "La massa" e "Ritratto dello zio"
Dopo una stagione di pausa, è di nuovo "teatro canzone”, con l’orchestra che dopo un decennio ritorna in palcoscenico. Le due stagioni ‘84/’85 e ‘85/86 di Io se fossi Gaber aggiornano il sound dell’artista, anche in teatro. Fanno parte di questo spettacolo le canzoni "La massa" e "Ritratto dello zio"
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Sarà, per qualche anno, l’ultimo sguardo di Gaber e Luporini sul mondo. Altre urgenze li attirano. Anzi una sola: la ricostruzione di una possibile integrità dell’io a partire dalla sua esigenza più elementare: il sentimento. E’ una vecchia canzone degli anni Trenta, Parlami d’amore Mariù, a far da titolo al primo capitolo di quello che Gaber e Luporini definiranno il loro “Teatro d’evocazione”. I temi si differenziano da quelli del teatro-canzone, scompare tutto ciò che appartiene al mondo della politica per dar posto a un’analisi sulla nostra esistenza”.
L'impegno teatrale culminerà con la direzione artistica, nel 1989, del Teatro Goldoni di Venezia.
Nella stagione ‘91/’92 il vecchio teatro-canzone reclama il suo spazio. Con la formula di sempre:
monologhi e canzoni. Novità e repertorio conviveranno, scegliendo dal passato soprattutto quel che suona quasi profetico. E dalla stagione ‘94/’95 Gaber e Luporini ritrovano persino il gusto per titoli forti, provocanti, come quello dello spettacolo E pensare che c’era il pensiero e, per lo spettacolo delle stagioni ‘97/’98 e ‘98/’99: Un’idiozia conquistata a fatica. Un’insistenza implacabile nel richiamare i propri interlocutori a nuove consapevolezze.
Il calendario del teatro-canzone si chiude con la stagione ‘99/’2000.
Giorgio Gaber ritorna ad incidere dischi: è del 2001 La mia generazione ha perso. Nel 2003, postumo, esce il disco Io non mi sento italiano.
L'impegno teatrale culminerà con la direzione artistica, nel 1989, del Teatro Goldoni di Venezia.
Nella stagione ‘91/’92 il vecchio teatro-canzone reclama il suo spazio. Con la formula di sempre:
monologhi e canzoni. Novità e repertorio conviveranno, scegliendo dal passato soprattutto quel che suona quasi profetico. E dalla stagione ‘94/’95 Gaber e Luporini ritrovano persino il gusto per titoli forti, provocanti, come quello dello spettacolo E pensare che c’era il pensiero e, per lo spettacolo delle stagioni ‘97/’98 e ‘98/’99: Un’idiozia conquistata a fatica. Un’insistenza implacabile nel richiamare i propri interlocutori a nuove consapevolezze.
Il calendario del teatro-canzone si chiude con la stagione ‘99/’2000.
Giorgio Gaber ritorna ad incidere dischi: è del 2001 La mia generazione ha perso. Nel 2003, postumo, esce il disco Io non mi sento italiano.